LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE DI CAMPOBASSO - SEZIONE I 
 
    Riunita con l'intervento dei Signori: 
        Di Nardo Giuseppe Presidente e Relatore; 
        Pasto' Emo Giudice; 
        Pietrunti Giovanni Giudice. 
    Ha emesso la seguente ordinanza, sul ricorso n. 214/15 depositato
l'11 marzo 2015: 
        avverso invito al pagamento n. 3/2015 contr.unificato 2015; 
        avverso invito al pagamento n. 4/2015 contr.unificato 2015. 
    Contro: MEF-SEGR.-COMM. TRIB. Provinciale di Campobasso, proposto
dal ricorrente: GES.A.C. SRL in liquidazione,  Contrada  Piana  113/A
86010 Ferrazzano CB, difeso da: Iannacci avv.  Pasqualino,  via  Roma
n.48 86100 Campobasso CB. 
    La Ges.A.C., s.r.l. premesso che: 1) in relazione ad  un  ricorso
cumulativo, proposto innanzi a questa Commissione Tributaria,  avente
ad oggetto n. 3 intimazioni di pagamento di tributi  per  un  importo
totale di € 1.524,67, aveva versato il contributo unificato pari ad €
30,00 calcolato sulla somma totale predetta; 2) in relazione ad altro
ricorso cumulativo, proposto innanzi alla stessa predetta Commissione
Tributaria, avente ad oggetto  n.  19  intimazioni  di  pagamento  di
tributi per un importo complessivo di € 74.563,21  aveva  versato  il
contributo unificato pari  a  ad  €  250,00,  calcolato  sull'importo
totale  predetto;  3)  la  Direttrice  della  Segreteria  di   questa
Commissione Tributaria le  aveva  notificato  due  inviti  bonari  al
pagamento con cui, rilevato l'insufficiente versamento dei contributi
unificati predetti e  ricalcolati  gli  importi  dovuti  in  base  ai
singoli  atti  impugnati  in  relazione  a   ciascuno   dei   ricorsi
cumulativi, come disposto dall'art. 14, comma 3-bis del  decreto  del
Presidente della Repubblica 115/2002 (introdotto dalla legge 147/2013
art. 1 comma 598),  aveva  rideterminato  la  misura  dei  contributi
unificati in € 90,00 per il primo  ricorso  ed  in  1.280,00  per  il
secondo; 
    Tanto premesso, la predetta societa' ha proposto ricorso  innanzi
a questa Commissione avverso i due inviti al pagamento per i seguenti
motivi: 1) violazione dell'art. 12,  comma  5,  del  d.lgs  546/92  e
dell'art. 10 c.p.c., dovendosi ritenere emesso  l'opposto  invito  al
pagamento sulla base di una illegittima Direttiva (la  n.  2/DGT  del
2012) del MEF  con  la  quale  si  e'  affermato  che  il  contributo
unificato, in caso di ricorso avverso piu' atti di accertamento, deve
essere calcolato «con riferimento ai valori dei singoli  atti  e  non
sulla somma dei detti valori», interpretazione questa da ritenere  in
contrasto con la legge poiche', ai  sensi  dell'art.  9  decreto  del
Presidente della Repubblica  115/2002,  il  contributo  unificato  e'
dovuto per il processo e deve essere calcolato sul valore della  lite
che, ai sensi dell'art. 10 c.p.c., applicabile al processo tributario
nella carenza di specifiche disposizioni sul ricorso  tributario,  si
ottiene, ex art. 12, comma 5, d.lgs 546/92, sommando  i  tributi,  al
netto di sanzioni ed interessi o le sole sanzioni - in caso  di  atti
per sole sanzioni - dei vari provvedimenti oggetto  di  impugnazione;
2) che il criterio della somma dei tributi,  oggetto  dei  vari  atti
impugnati con i due ricorsi cumulativi, e'  stato  ritenuto  corretto
anche dalla sentenza  n.  120/1/13  del  19  luglio  2013  di  questa
Commissione, sentenza  nella  quale  veniva  anche  rilevato  che  la
diversa  interpretazione  del  metodo  di  calcolo   del   contributo
unificato contenuta nella predetta Direttiva del MEF presentava  vari
profili di incostituzionalita'; 3)  che  la  modifica  dell'art.  14,
comma 3-bis, del decreto del Presidente  della  Repubblica  115/2002,
operata con la legge n. 147/2013 (legge  di  stabilita'  del  2014  a
decorrere dal gennaio 2014), con la  quale  si  e'  disposto  che  il
contributo unificato  deve  essere  «determinato,  per  ciascun  atto
impugnato anche in appello» deve ritenersi confliggente con gli artt.
3, 53, 24, 113 e 117, comma 1, della Costituzione. 
    Rileva in proposito che, essendo pacifica la  natura  di  tributo
del contributo unificato e la sua funzione volta a sostenere il costo
del processo, imporre ad un soggetto che, proponendo un solo  ricorso
per  piu'  atti,  attiva  un  solo  processo,  lo  stesso  sacrificio
nell'esborso del contributo che si impone a  quel  contribuente  che,
proponendo  un  ricorso  per  ciascun  atto  impugnato,  attiva  piu'
processi,  significa  violare  il  principio   di   uguaglianza   dei
contribuenti  e  della  capacita'  contributiva  degli   stessi.   La
violazione del principio di uguaglianza  si  verifica  anche  ove  si
consideri l'ingiustificato diverso  trattamento  che  il  legislatore
effettua  discriminando  il  processo  tributario,   nel   quale   il
contributo unificato e' commisurato al valore dei singoli  atti,  dal
processo amministrativo e da quello civile (al quale si  conforma  di
massima quello  tributario)  nei  quali  il  contributo  predetto  e'
rapportato al valore della lite. 
    Quanto invece alla violazione dell'art. 24 Cost. fa rilevare  che
sia la nostra Costituzione  che  i  Trattati  istitutivi  dell'Unione
Europea vietano di imporre filtri gravosi al diritto di  difesa  che,
con  l'imposizione  di  un  pagamento  rapportato  ai  singoli   atti
impugnati e non al valore del processo,  pregiudica  l'iniziativa  di
chi, proponendo un solo ricorso per piu' atti, agevola le esigenze di
semplificazione e snellezza del processo. 
    Relativamente poi alla violazione dell'art. 113 Cost. fa rilevare
che con l'onerare il ricorrente di un peso  tributario  eccessivo,  e
comunque non rapportato al  costo  del  processo,  si  pregiudica  la
pienezza della tutela contro gli atti della Pubblica Amministrazione. 
    Quanto, infine, alla violazione dell'art.  117,  comma  1,  della
Costituzione ed  ai  vincoli  risultanti  dalla  CEDU,  osserva  che,
rapportando la misura del contributo  unificato  al  valore  di  ogni
singolo atto impugnato  nel  processo  cumulativo  o  collettivo,  il
legislatore non ha  affatto  perseguito  l'interesse  pubblico,  come
richiesto dalle predette disposizioni che sanciscono il diritto ad un
processo giusto, ad un ricorso effettivo e al divieto di  restrizioni
dei diritti non strettamente  connesse  con  lo  scopo  previsto,  ma
unicamente la soddisfazione della attuale emergenza finanziaria. 
    Il ricorrente ha conclusivamente chiesto che, ritenuta  rilevante
e  non  manifestamente  infondata   l'eccezione   di   illegittimita'
costituzionale  dell'art.  1,  comma  598,  legge  n.  147/2013,   in
relazione  agli  artt.  3,  53,  24,  113  e  117,  comma  1,   della
Costituzione, siano trasmessi gli  atti  alla  Corte  Costituzionale,
previa sospensione del giudizio e,  all'esito,  siano  annullati  gli
opposti inviti di pagamento, con vittoria di spese. 
    Instauratosi il contraddittorio si e' costituita la Segreteria di
questa Commissione Tributaria, in persona della Direttrice p.t.,  che
ha contestato ogni avverso assunto deducendo: 1) in via pregiudiziale
la  inammissibilita'   dell'impugnazione   dell'opposto   invito   al
pagamento, precisando che trattasi di provvedimento non indicato  tra
quelli previsti come impugnabili  dall'art.  19  d.lgs  546/92,  come
ritenuto anche dalla CTP di Pisa (sent. n. 225 del 2013), trattandosi
di atto che non contiene una pretesa tributaria e non produce effetti
immediati nella sfera patrimoniale del contribuente; 2) relativamente
alla eccepita incostituzionalita' dell'art. 1,  comma  598  lett.  a)
della legge n. 147/2013, che con detta disposizione  il  legislatore,
disponendo che nel processo tributario il contributo unificato per il
ricorso collettivo o cumulativo deve essere rapportato alla somma dei
contributi previsti per ciascuno degli atti imputati, ha  posto  fine
ad una questione dibattuta in giurisprudenza. 
    Precisa che il processo tributario differisce  da  quello  civile
poiche' mentre nel secondo  e'  la  parte  che  con  la  sua  domanda
determina  il  valore  della  controversia,  nel  primo   ogni   atto
costituisce l'esito di un  separato  accertamento.  La  facolta'  del
ricorrente di trattare congiuntamente diverse questioni tra  di  loro
connesse, pur se corrispondente all'esigenza di economia processuale,
non puo' giammai tradursi in un risparmio del contributo unificato. 
    Nella  specie  essa  resistente  Segreteria  si  e'  limitata  ad
applicare la legge vigente. 
    Ha  pertanto  concluso  chiedendo  dichiararsi  inammissibile  il
ricorso per non impugnabilita' degli atti opposti  e,  in  subordine,
dichiararsi  irrilevante  ed  infondata  la  sollevata  eccezione  di
legittimita' costituzionale e rigettarsi il ricorso con  vittoria  di
spese del giudizio. 
    Nella odierna pubblica udienza  questa  Commissione,  sentite  le
conclusioni delle parti, si e'  riservata  la  decisione.  Quindi  ha
emesso la presente ordinanza come appresso motivata. 
    Deve   pregiudizialmente   essere   esaminata   l'eccezione    di
inammissibilita' del ricorso proposta dalla resistente Segreteria  di
questa Commissione. 
    L'eccezione e' infondata e deve essere rigettata. 
    Nella concreta fattispecie la predetta Segreteria, in  esecuzione
del disposto  di  cui  all'art.  248  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 115/2002 (Testo Unico Spese di  Giustizia-  d'ora  innanzi
TUSG), notifico' alla contribuente n. 2 inviti bonari  al  pagamento,
ovvero due provvedimenti nei quali erano indicati, in via  preventiva
e nelle vie brevi, i maggiori importi ritenuti dovuti,  in  luogo  di
quelli inferiori versati, per i due  contributi  unificati  tributari
(d'ora innanzi CUT) al fine di consentirle il pagamento ed evitare un
contenzioso, avvertendola che in caso di  mancato  pagamento  sarebbe
stata promossa la riscossione coattiva con addebito degli interessi e
della sanzione. 
    Orbene i predetti  provvedimenti  sono  da  ritenere  impugnabili
anche se non inclusi tra quelli previsti dall'art. 19 d.lgs 546/92. 
    E' pur vero, infatti, che la elencazione degli  atti  impugnabili
indicati nell'art. 19 del d.lgs n. 546/92 ha  natura  tassativa,  si'
che la loro omessa impugnazione comporta la  cristallizzazione  della
pretesa tributaria in essi contenuta, ma cio' non  significa  affatto
che l'impugnazione di atti, come quelli de quibus, diversi da  quelli
indicati  dal  predetto  art.  19,  sia  in  ogni  caso  da  ritenere
inammissibile. 
    Invero  da  tempo  si  e'  consolidato  autorevole   insegnamento
giurisprudenziale, dal  quale  questo  Collegio  non  ravvisa  validi
motivi per discostarsi,  secondo  il  quale  l'indicazione  tassativa
degli atti impugnabili, di cui al citato art. 19, e' suscettibile  di
interpretazione estensiva in ossequio  ai  principi  del  diritto  di
difesa e della capacita' contributiva del contribuente (artt. 24 e 23
Cost.) nonche' di buon andamento della pubblica amministrazione (art.
97 Cost.)  e,  infine,  anche  per  effetto  dell'allargamento  della
giurisdizione tributaria operato con la legge n. 448 del 2001. 
    Piu' precisamente e'  stata  riconosciuta  la  facolta',  per  il
contribuente, di ricorrere al giudice tributario  avverso  tutti  gli
atti adottati dall'ente impositore che,  con  l'esplicitazione  delle
concrete ragioni (fattuali e giuridiche) che  li  sorreggono,  porti,
comunque, a conoscenza del contribuente una ben  individuata  pretesa
tributaria, senza necessita' di attendere che la stessa, ove non  sia
raggiunto lo scopo dello spontaneo adempimento, cui  e'  naturalmente
preordinata, si vesta della forma  autoritativa  di  uno  degli  atti
dichiarati espressamente impugnabili dall'art. 19 cit. Tanto  perche'
gia' al momento della ricezione  della  notizia  il  contribuente  ha
interesse, ex art. 100 c.p.c., a chiarire, con  pronuncia  idonea  ad
acquisire effetti non piu' modificabili, la sua posizione  in  ordine
alla stessa e quindi,  ad  invocare  una  tutela  giurisdizionale  di
controllo della legittimita' sostanziale della pretesa impositiva. 
    E' stato altresi' chiarito  che  l'esercizio  della  facolta'  di
impugnazione, da parte del contribuente, di un atto non espressamente
indicato dall'art. 19 cit.  non  determina,  in  ogni  caso,  la  non
impugnabilita' (e cioe' la cristallizzazione) di quella pretesa,  che
va successivamente reiterata in uno degli atti tipici previsti  dallo
stesso art. 19 (Cass. 21045/2007 - S.U. 10672/2009 - Cass. 27385/2008
- 4513/2009 - 285 e 14373/2010 - 8033, 109878  e  16100  del  2011  -
17010/2012). 
    Nel caso di cui si discute  i  provvedimenti  opposti  presentano
tutti i requisiti, in precedenza indicati, per  ritenere  sussistente
l'interesse del ricorrente a ricorrere innanzi al Giudice tributario. 
    Affermata  la  piena  ammissibilita'  del  ricorso,  devesi   ora
esaminare  se  e'  da  ritenere  ammissibile  e  non   manifestamente
infondata l'eccezione proposta dal ricorrente che ha  contestato  che
sia conforme ai principi costituzionali la vigente  formulazione  del
comma 3-bis  dell'art.  14  del  TUSG,  con  riferimento  alla  parte
modificata dal comma 598, lett. a) della legge 27  dicembre  2013  n.
147 (legge di stabilita' 2014). 
    La questione e' da ritenere certamente rilevante poiche' di  essa
si deve necessariamente fare applicazione nel  presente  processo  il
cui oggetto controverso e' proprio il criterio di determinazione  del
CUT. che, secondo il  ricorrente,  dovrebbe  essere  rapportato  alla
somma totale dei tributi oggetto dei vari provvedimenti impugnati con
i due ricorsi  cumulativi  proposti  mentre,  secondo  la  resistente
Segreteria di questa Commissione,  dovrebbe  essere  rapportato  alla
somma dei CUT previsti per ciascuno  dei  provvedimenti  indicati  in
ognuno dei due ricorsi cumulativi, cosi' come  disposto  dal  vigente
comma 3-bis dell'art. 14 TUSG, con conseguente maggiore esborso, come
richiesto negli avvisi bonari oggi opposti, rispetto a quello versato
dal ricorrente e gia' indicato. 
    La questione e' da ritenere altresi' non manifestamente infondata
per i motivi che appresso saranno esposti. 
    L'art. 14 comma  3-bis  cit.  prima  della  vigente  formulazione
disponeva che il CUT doveva essere «determinato ai sensi del comma  5
dell'art. 12 del decreto legislativo  31  dicembre  1992  n.  546,  e
successive modificazioni». 
    Il comma 5 dell'art. 12 d.lgs 546/92  a  sua  volta  disponeva  e
dispone che «Per valore della lite si intende l'importo  del  tributo
al netto degli interessi e  delle  eventuali  sanzioni  irrogate  con
l'atto impugnato; in caso  di  controversie  relative  esclusivamente
alle irrogazioni di sanzioni, il valore e' costituito dalla somma  di
queste». 
    A decorrere dal primo gennaio 2014, con l'art. 1, comma 598 lett.
a) della legge 147/2013, e' stato modificato il comma 3-bis dell'art.
14 cit, nel senso che dopo la parola determinato sono state  aggiunte
le parole «per ciascun atto impugnato anche in appello». 
    Tali essendo le disposizioni  vigenti  prima  del  gennaio  2014,
questa stessa Commissione  Tributaria  ebbe  modo  di  occuparsi  del
criterio di determinazione del CUT, dovuto per il ricorso cumulativo,
in tre processi definiti con le sentenze n. 120/1/13  del  18  luglio
2013, n. 698/2/14 del 18 novembre 2014 e  n.  100/1/2015  concernenti
CUT versati prima del gennaio 2014. 
    Con le tre predette sentenze la questione fu risolta affermandosi
che per il ricorso cumulativo il CUT doveva essere determinato  sulla
base del valore costituito dalla somma dei vari tributi (al netto  di
sanzioni ed interessi) oggetto dei  provvedimenti  impugnati,  oppure
dalla somma delle sole sanzioni in caso di  provvedimenti  contenenti
solo sanzioni. 
    A detta decisione  questa  Commissione  pervenne  osservando  che
nella disciplina  del  processo  tributario  (d.lgs  546/92)  non  e'
neppure contemplato il ricorso cumulativo (ritenuto pero' ammissibile
da costante giurisprudenza di legittimita')  onde,  per  il  generico
rinvio al codice di procedura  civile,  disposto  dall'art.  1  d.lgs
cit.,  doveva   trovare   applicazione   l'art.   104   c.p.c.   che,
disciplinando il  cumulo  di  domande  contro  la  stessa  parte  nel
processo civile, impone il rinvio all'art. 10 c.p.c. il quale  a  sua
volta dispone che «le domande proposte nello stesso  processo  contro
la medesima persona si sommano tra loro». 
    Veniva altresi' precisato che, ai sensi dell'art. 9 TUSG, il CUT,
come tutti i contributi unificati, e' dovuto per il  processo  e  non
per gli atti impugnati. 
    Nell'occasione veniva confutata l'affermazione  della  resistente
A.F. (in persona della Direttrice della  Segreteria  di  questa  CTP)
che, conformandosi a quanto ritenuto nella  Direttiva  n.  2/DGT  del
2012  del  MEF,  aveva  sostenuto  la  tesi  dell'applicabilita'  del
criterio della somma dell'oggetto dei provvedimenti opposti  solo  in
caso di provvedimenti contenenti unicamente sanzioni,  assumendo  che
invece, in caso di provvedimenti contenenti  tributi,  doveva  aversi
riguardo ai singoli atti (ovvero dovevano sommarsi i CUT previsti per
i singoli atti). 
    La tesi veniva confutata nelle sentenze  di  questa  CTP  con  la
testuale   affermazione   che   essa   «comporterebbe   l'irrazionale
conclusione che per la determinazione dell'entita' del CU, dovuto per
il ricorso cumulativo nel processo tributario, dovrebbe farsi ricorso
a criteri differenti variabili secondo l'oggetto dell'atto  impugnato
(ovvero  il  criterio  della  somma  delle  sanzioni  nel   caso   di
provvedimenti contenenti solo sanzioni e il criterio della somma  dei
CUT previsti per ciascuno dei provvedimenti in caso di  provvedimenti
contenenti solo tributi) operando cosi' una differenziazione che  non
e' ravvisabile ne' nella lettera ne' nella ratio della legge». 
    Nella stessa sentenza veniva altresi' precisato che  la  ritenuta
illegittima  interpretazione  proposta  dal  Ministero,   e   seguita
all'epoca  dalla  Direttrice  della  Segreteria  di  questa  CTP,  si
esponeva a seri dubbi di violazione dei  principi  di  uguaglianza  e
della capacita' contributiva di cui agli artt. 3 e 53 Cost. 
    Orbene con la  modifica  del  comma  3-bis  dell'art.  14  cit.il
Legislatore ha  dimostrato  da  un  lato  di  ritenere  legittima  la
interpretazione effettuata da questa Commissione,  tanto  da  operare
una  modifica  del  vecchio  comma  3-bis  cit.,  e   dall'altro   di
condividere la esigenza  (evidentemente  per  ragioni  di  cassa)  di
introdurre un criterio di determinazione  del  CUT  corrispondente  a
quello manifestato dal MEF a mezzo della illegittima  interpretazione
della norma. 
    E' opportuno precisare, in proposito, che la  riformulazione  del
comma 3-bis cit. costituisce una disposizione innovativa e  non  gia'
interpretativa poiche', come e' ben noto, ai sensi dell'art. 1, comma
2, della  legge  212/2000  «L'adozione  di  norme  interpretative  in
materia tributaria puo' essere disposta soltanto in casi  eccezionali
e con legge ordinaria, qualificando  come  tali  le  disposizioni  di
interpretazione autentica», mentre nel caso de quo  ne'  sussiste  il
caso eccezionale ne' si  rinviene,  nel  testo  della  legge,  alcuna
qualificazione di norma interpretativa. 
    Quanto, poi, alla finalita' della nuova disposizione, non  sembra
possano sussistere dubbi  nel  senso  che  con  essa  si  sia  voluto
condividere l'esigenza di maggiori entrate  tributarie  insita  nella
interpretazione da parte del MEF  della  vecchia  formulazione  della
norma. 
    Infine, per quanto concerne la effettiva  portata  della  novella
legislativa, non sembra che  possa  correttamente  dubitarsi  che  il
legislatore abbia proprio voluto disporre che nel ricorso  cumulativo
il CUT sia calcolato separatamente per ogni atto impugnato  assumendo
come valore i tributi contenuti nei singoli atti (escluse sanzioni ed
interessi), anche perche' tanto risulta dai  lavori  parlamentari  in
cui si da' atto che il legislatore ha chiaramento aderito  alla  tesi
del MEF. 
    Nel Dossier del servizio studi del Senato (n. 74 ottobre 2013) si
afferma  infatti  che  «con  specifico  riferimento  all'ambito   del
processo tributario... il calcolo del contributo per scaglioni  viene
effettuato con riguardo a ciascun atto impugnato anche  con  riguardo
ai contenziosi in appello». 
    Conclusivamente deve ritenersi che nel caso che  ne  occupa,  che
concerne la  determinazione  del  CUT  per  due  ricorsi  cumulativi,
contributi versati nell'anno 2014, in base alla legge vigente, ovvero
al novellato comma.3-bis dell'art. 14 TUSG, la determinazione del CUT
dovrebbe essere effettuata (per  entrambi  i  casi)  sommando  i  CUT
previsti per ciascuno dei  provvedimenti  impugnati  con  il  ricorso
cumulativo - come ritenuto dalla resistente Segreteria di questa  CTP
- e non gia' assumendo l'unico CUT determinato sulla base della somma
dei tributi oggetto dei vari  provvedimenti  -  come  ritenuto  dalla
ricorrente.. 
    L'adesione del legislatore alla indicata esigenza manifestata dal
MEF e la stessa  specifica  formulazione  della  norma,  che  non  ha
apportato alcuna modifica alla preesistente  e  vigente  formulazione
dell'art. 12 d.lgs 546/92 il quale,  nell'indicare  il  valore  della
lite per le controversie aventi ad oggetto unicamente  sanzioni  («in
caso di controversie  relative  esclusivamente  alla  irrogazione  di
sanzioni, il valore e' costituito dalla somma di  queste»),  comporta
che comunque resta invariato  il  criterio  della  somma  solo  delle
sanzioni nel caso di pluralita' di atti contenenti solo sanzioni. 
    Non sembra superfluo ricordare che nella  Direttiva  del  MEF  n.
2/DGT del 14 dicembre 2012 nel rispondere  al  quesito  18,  con  cui
veniva richiesto come calcolare il valore della lite in base al quale
determinare la misura del CUT nel ricorso cumulativo, ovvero  se  con
riguardo alla somma dei valori degli atti o se per ogni singolo atto,
veniva testualmente data la seguente risposta. «Soltanto nel caso  in
cui siano impugnati gli atti di irrogazione delle sanzioni il  valore
della lite e' dato dalla loro somma». 
    Tanto premesso e precisato, ritenuto che, come gia' chiarito,  la
questione di legittimita' costituzionale del comma 3-bis dell'art. 14
TUSG e' rilevante poiche' di detta norma deve  farsi  necessariamente
applicazione nel presente processo per la determinazione dell'entita'
del CUT dovuto per  ciascuno  dei  proposti  ricorsi  cumulativi,  si
osserva  che  la  detta  questione  e'  da  ritenersi  altresi'   non
manifestamente  infondata  perche'  contrastante   con   i   principi
costituzionali dell'uguaglianza  e  ragionevolezza  (art.  3  Cost.),
della capacita' contributiva (art. 53 Cost.), del diritto  di  difesa
(art. 24 Cost.) e della  tutela  giurisdizionale  (art.  113  Cost.),
nonche' del diritto ad un processo equo e  ad  un  ricorso  effettivo
(art. 117, comma 1 Cost. e artt. 6 e 13 CEDU). 
    Va    innanzitutto    rilevata    la    irragionevolezza    della
discriminazione che, in base alla nuova disposizione, consegue  nella
determinazione dell'entita' del sacrificio  imposto  al  contribuente
valutando, in caso di ricorso cumulativo, a seconda dei casi la somma
dei CUT dovuti per ciascun provvedimento contenente  tributi,  oppure
la somma delle sanzioni per i provvedimenti contenenti solo sanzioni. 
    Gia' questa sola differenziazione tra tributi e  sanzioni  appare
lesiva del principio  di  uguaglianza  e,  nel  contempo,  anche  del
principio  di  capacita'  contributiva  di  cui  all'art.  53  Cost.,
risultando ingiustificato il trattamento differenziato, a parita'  di
debito verso l'erario,  tra  chi  debba  corrispondere  solo  tributi
rispetto  a  chi  debba  corrispondere  solo  sanzioni   ed   inoltre
maggiormente incisa la capacita' contributiva del primo  rispetto  al
secondo. 
    Si tratta, come si esemplifichera' nei casi pratici  che  saranno
indicati  successivamente,  di   criteri   che   comportano   esborsi
differenti penalizzando maggiormente, e  senza  un  valido  e  logico
motivo, il contribuente che proponga un  ricorso  cumulativo  avverso
piu' provvedimenti contenenti solo  tributi  rispetto  a  quello  che
proponga del pari un  solo  ricorso  ma  avverso  piu'  provvedimenti
contenenti solo sanzioni, e questo anche se il debito tributario  sia
uguale per entrambi i contribuenti. 
    Si palesa in tal modo evidente il contrasto del cit. comma  3-bis
dell'art. 14 con i principi di cui all'art. 3 ed all'art.  53  Cost.,
principi che devono ritenersi violati anche sotto altri profili. 
    Come e' ben noto il Contributo Unificato ha la  natura  giuridica
di tributo. In proposito si ricorda che la Corte  costituzionale  con
la sentenza n. 73/2005  affermo'  testualmente  che:  «La  natura  di
entrata tributaria erariale  del  predetto  contributo  unificato  si
desume infatti, indipendentemente dal nomee iuris  utilizzato,  dalla
normativa che lo disciplina: a) dalla circostanza che esso  e'  stato
istituito  in  forza  di  legge  a  fini  di  semplificazione  e   in
sostituzione di tributi erariali gravanti anch'essi  su  procedimenti
giurisdizionali, quali l'imposta di bollo e la tassa di iscrizione  a
ruolo, oltre che dei diritti di cancelleria e di  chiamata  di  causa
dell'ufficiale giudiziario (art. 9, commi 1 e 2, della legge  n.  488
del 1999); b) dalla conseguente applicazione al contributo  unificato
delle stesse esenzioni previste dalla precedente legislazione  per  i
tributi  sostituiti  e  per  l'imposta  di  registro   sui   medesimi
procedimenti giurisdizionali (canora 8 dello stesso art. 9); c) dalla
sua  espressa  configurazione  quale  prelievo  coattivo   volto   al
finanziamento delle «spese degli atti giudiziari» (rubrica del citato
art. 9); d) dal  fatto  infine  che  esso,  ancorche'  commesso  alla
fruizione del servizio giudiziario, e'  commisurato  forfettariamente
al valore dei processi (comma 2 dell'art. 9 e tabella 1 allegata alla
legge)  e  non  al  costo  del  servizio  reso  od  al  valore  della
prestazione erogata. Il contributo ha, pertanto,  le  caratteristiche
essenziali del tributo e cioe' la doverosita' della prestazione e  il
collegamento di questa ad una pubblica spesa, quale e' quella per  il
servizio giudiziario (analogamente  si  sono  espresse,  quanto  alle
caratteristiche dei tributi, le sentenze n. 26 del 1982,  n.  63  del
1990, n. 2 del  1995,  n.  11  del  1995,  e  n.  37  del  1997)  con
riferimento ad un presupposto economicamente rilevante». 
    Giova ricordare che l'art. 9 TUSG disponendo che  «E'  dovuto  il
contributo unificato di iscrizione  a  ruolo  per  ciascun  grado  di
giudizio nel processo  civile  e  di  volontaria  giurisdizione,  nel
processo amministrativo e nel processo tributario» indica chiaramente
che il presupposto del tributo CUT e'  l'iscrizione  a  ruolo  di  un
giudizio. 
    Trattasi quindi di un prelievo coattivo  volto  al  finanziamento
delle spese giudiziarie e commisurato al valore del processo, onde la
base imponibile e' rappresentata dal valore della controversia. 
    Anche a costo di sembrare ripetitivi  si  ricorda  che  la  Corte
costituzionale nella sopra  indicata  sentenza  chiari'  che  il  CUT
«ancorche' connesso  alla  fruizione  del  servizio  giudiziario,  e'
commisurato forfettariamente al valore del processo... e non di certo
del servizio reso o della prestazione erogata». 
    Orbene la disposizione di cui al novellato comma 3-bis  dell'art.
14 cit., secondo la quale  in  caso  di  ricorso  avverso  piu'  atti
(ricorso cumulativo o collettivo) il valore della  lite  deve  essere
calcolato  con  riferimento  ai  singoli  atti  impugnati,   comporta
assoluta  incoerenza  ed  irrazionalita'   poiche'   al   presupposto
impositivo unitario (iscrizione a ruolo di un  solo  ricorso  per  un
solo processo) fa corrispondere una molteplicita' di basi  imponibili
(i valori dei singoli atti impositivi e non il valore del processo). 
    Secondo autorevole dottrina la discrezionalita'  del  legislatore
nella determinazione della base imponibile incontra il  limite  della
necessaria coerenza tra  il  profilo  assunto  come  rilevante  e  il
presupposto  impositivo,  poiche'  l'incoerenza  tra   il   parametro
prescelto e il presupposto del tributo introduce un grave elemento di
irrazionalita' della disciplina dell'istituto tributario che dovrebbe
necessariamente condurre alla dichiarazione  di  incostituzionalita'.
Trattasi di incoerenza che  sussiste  solo  nel  processo  tributario
poiche' in quello civile - sul quale e' modellato il primo -, in caso
di  cumulo  oggettivo  delle  domande,  il  contributo  unificato  e'
quantificato su una base imponibile unitaria (somma delle domande) in
tal modo  rispettandosi  pienamente  il  canone  della  coerenza  tra
presupposto e base imponibile del tributo. 
    Il principio di  uguaglianza  e  ragionevolezza  e'  altresi'  da
ritenersi violato considerando le diverse modalita'  di  accertamento
che per legge o per volonta' dell'ente impositore siano adottate  per
recuperare tributi di pari valore (es.: un solo  o  piu'  Avvisi  per
recuperare piu' tributi ICI o piu' tasse  automobilistiche).  E'  del
tutto evidente, infatti, che diversa sara' la determinazione del  CUT
nel caso  di  un  unico  atto  contenente  piu'  tributi  (unico  CUT
determinato in base alla somma dei tributi) o di piu' atti contenenti
gli stessi tributi relativi ad  annualita'  diverse  (somma  dei  CUT
dovuti  per  ciascuno  degli  atti),  come  si  e'  verificato  nelle
fattispecie de quibus. 
    Trattasi  di  ipotesi  del  tutto  avulse  dalla   volonta'   del
contribuente  e  dal  presupposto  del  tributo,   onde   palesemente
irragionevoli  e  comportanti  evidente  disparita'  di   trattamento
impositivo. 
    E' sufficiente, esemplificativamente, valutare  il  caso  di  due
distinti processi azionati da due contribuenti aventi identico debito
tributario di € 150.000,00, debito contestato al primo  con  un  solo
provvedimento e al secondo con tre distinti  provvedimenti,  ciascuno
di  €  50.000,00.  Con  l'applicazione  del  novellato  comma   3-bis
dell'art. 14 TUSG si verifica che, in presenza di  debito  tributario
di ammontare complessivamente identico, il primo contribuente  dovra'
corrispondere un CUT (€ 500,00) di ammontare inferiore  a  quello  (€
750,00) che  dovra'  corrispondere  il  secondo,  pur  avendo  costui
agevolato il corso della giustizia, consentendo, con la presentazione
di un unico ricorso cumulativo, la celebrazione di un unico processo,
agevolando le esigenze di  snellezza  e  celerita'  della  giustizia,
eliminando altresi' il pericolo di contrasto di giudicati. 
    Che dire poi della ipotesi in cui sia appellata una sola sentenza
emessa in esito ad un processo in cui sia stata disposta la  riunione
di due ricorsi ciascuno di importo superiore ad € 200.000,00? In  tal
caso l'applicazione del novellato comma 3-bis comporta l'applicazione
di un CUT pari ad €  3.000,00  (€  1.500,00  +  €  1.500,00)  mentre,
applicando il criterio del valore del processo, secondo la previgente
formulazione  legislativa,  il  CUT  sarebbe  stato  pari  al  valore
massimo, ovvero ad € 1.500,00. 
    Il principio di  uguaglianza  e  ragionevolezza  e'  da  ritenere
altresi' violato in considerazione della diversa  disciplina  dettata
per le domande azionate cumulativamente nel processo civile, ex artt.
104 e 10 c.p.c., non essendo ravvisabile alcuna valida ragione per la
differenziazione, essendo identico il presupposto  della  imposizione
(«iscrizione a  ruolo  di  un  processo  civile...  amministrativo  o
tributario») ed essendo identico l'indice di  capacita'  contributiva
(potere di adire gli organi della  giustizia).  Tanto,  inoltre,  non
senza rilevare che nel processo  tributario  innanzi  alla  Corte  di
Cassazione e' tuttora applicabile il criterio dettato per il processo
civile, poiche' il comma 6-quater dell'art. 13 TUSG  disciplina  solo
il CUT innanzi alle Commissioni Tributarie Provinciali e Regionali. 
    Si rivela pertanto del  tutto  evidente  la  illogicita'  di  una
normativa che, solo per esigenze di cassa, impone un diverso e  molto
piu' oneroso sistema di calcolo degli obblighi tributari,  oltretutto
solo per i due gradi di merito, per il processo  tributario  rispetto
al processo civile, al quale ultimo si  conforma  prevalentemente  il
primo,  dovendosi  peraltro  escludere  la   ravvisabilita'   di   un
particolare  interesse  fiscale  nel  processo  tributario  (come  si
argomenta da Corte costituzionale sent. n. 73/2005). 
    Ne'  potrebbe,  in  contrario,  rilevarsi,  come  pure  e'  stato
rilevato,  che  il  processo  tributario  ha  natura  impugnatoria  a
differenza  del  processo  civile,   poiche'   la   predetta   natura
impugnatoria puo' sussistere anche nel processo civile, sia in  primo
grado (es.: opposizione a decreto ingiuntivo) che in  secondo  grado,
dove e' connaturata la natura impugnatoria. 
    Ulteriore contrasto si ritiene  di  ravvisare  tra  la  novellata
disposizione del comma 3-bis dell'art. 14  cit.  e  l'art.  53  della
Costituzione che disciplina la capacita' contributiva. 
    Come si e' innanzi  precisato  il  CUT  costituisce  un  prelievo
coattivo, ovvero un  tributo,  volto  al  finanziamento  delle  spese
giudiziarie e  commisurato  al  valore  del  processo,  la  cui  base
imponibile e' costituita dal valore della controversia. 
    Piu' semplicemente puo' affermarsi che il CUT e' richiesto per un
solo processo, anche se esso abbia per oggetto piu'  atti  tributari,
poiche' e' finalizzato a  sostenere  il  costo  forfettario  di  quel
processo e non degli atti che ne sono oggetto. 
    E' fin troppo evidente, allora, che costringere  il  contribuente
che proponga un ricorso cumulativo a pagare  per  il  CUT  una  somma
maggiore di quella corrispondente al valore del processo  determinato
sulla somma dei soli tributi (oggetto degli atti impugnati) e pari  a
quella che avrebbe dovuto corrispondere se avesse attivato un  numero
di processi corrispondente a quello degli atti impugnati, costituisce
palese violazione  della  capacita'  contributiva.  Tanto  non  senza
rilevare  che  in  talune  ipotesi,  come  nel  caso  in   precedenza
esemplificato (un primo contribuente che impugni un solo atto recante
un tributo di  €  150.000,00  con  CUT  di  €  500,00  -  un  secondo
contribuente  che  impugni  cumulativamente  tre  atti  ciascuno  con
tributo di € 50.000,00 con CUT di € 750), e' addirittura maggiormente
incisa, pur in presenza  di  pari  debito  tributario,  la  capacita'
contributiva del contribuente che ha ritenuto,  proponendo  un  unico
ricorso  cumulativo,  di  contribuire  alla  generale  e   meritevole
esigenza di semplificazione processuale e di certezza delle decisioni
giurisdizionali con l'eliminazione della eventualita' di un contrasto
di giudicati. 
    La predetta  ultima  ipotesi  rileva  anche  per  evidenziare  il
contrasto  della  predetta  disposizione,  di  cui  al  comma   3-bis
dell'art. 14, con il diritto di difesa  sancito  dall'art.  24  della
Costituzione. 
    Infatti  subordinando  l'utilizzo  del   ricorso   cumulativo   o
collettivo, che  e'  evidente  strumento  essenziale  di  difesa,  al
pagamento di un CUT che, in quanto rapportato a ciascuno  degli  atti
impugnati, e' pari a quello che si sarebbe  dovuto  corrispondere  se
fossero stati proposti distinti ricorsi, si scoraggia l'iniziativa di
coloro che vogliano avvalersi del ricorso cumulativo o collettivo per
la difesa delle proprie ragioni. 
    Inoltre l'imposizione, per il ricorso cumulativo, di un  CUT  non
rapportato al costo del processo, ma ai singoli  atti  impugnati,  si
rivela come un eccessivo peso tributario e, in  quanto  tale,  appare
confliggere anche con l'art. 113 della Costituzione che assicura  che
contro  gli  atti  della   P.A.   e'   sempre   ammessa   la   tutela
giurisdizionale, tutela che comunque viene limitata notevolmente. 
    Infine non puo' ignorarsi  che  l'imposizione  di  un  contributo
gravoso per il ricorso cumulativo o collettivo compromette seriamente
il diritto ad un processo equo e ad  un  ricorso  effettivo,  diritto
garantito dall'art. 117, comma 1, Cost. e dagli artt. 6  e  13  della
CEDU. 
    Conclusivamente si osserva che il CUT, cosi' come  concepito  dal
vigente comma 3-bis dell'art.  14  TUSG,  presenta  vari  profili  di
incostituzionalita',  oltre  a  contrastare  con   le   esigenze   di
deflazione e semplificazione della  giustizia  tributaria,  e  sembra
dettato unicamente da esigenze di finanza pubblica. 
    Non puo' non rilevarsi che la indubbia sussistenza per  lo  Stato
italiano  dell'esigenza  di  contenere  la  spesa   pubblica   e   di
incrementare  le  entrate  al  fine   di   rispettare   gli   impegni
internazionali non puo' in alcun modo giustificare la  violazione  di
fondamentali principi costituzionali. 
    Giova  in  proposito  ricordare   che   «L'eccezionalita'   della
situazione economica  che  lo  Stato  deve  affrontare  e',  infatti,
suscettibile senza dubbio  di  consentire  al  legislatore  anche  il
ricorso  a  strumenti   eccezionali,   nel   difficile   compito   di
contemperare il  soddisfacimento  degli  interessi  finanziari  e  di
garantire i  servizi  e  la  protezione  di  cui  tutti  i  cittadini
necessitano. Tuttavia e' compito  dello  Stato  garantire,  anche  in
queste   condizioni,   il   rispetto   dei   principi    fondamentali
dell'ordinamento costituzionale, il quale, certo, non e' indifferente
alla realta' economica e finanziaria, ma con altrettanta certezza non
puo' consentire deroghe al principio di  uguaglianza,  sul  quale  e'
fondato  l'ordinamento  costituzionale»   (Corte   Cost.   sent.   n.
223/2012). 
    E'  ben  noto,  del  resto,  che  «La  Costituzione...  esige  un
indefettibile raccordo con la capacita' contributiva, in un quadro di
sistema informato  a  criteri  di  progressivita',  come  svolgimento
ulteriore,  nello  specifico  campo  tributario,  del  principio   di
uguaglianza,  collegato  al  compito  di  rimozione  degli   ostacoli
economico-sociali esistenti di fatto alla liberta' ed uguaglianza dei
cittadini-persone  umane,  in  spirito  di   solidarieta'   politica,
economica e sociale - artt. 2  e  3  Cost.»  (sent.  Corte  Cost.  n.
341/2000), onde il controllo della Corte  costituzionale,  in  ordine
alla  lesione  del  principio  di  cui  all'art.   53   Cost.,   come
specificazione del  fondamentale  principio  di  uguaglianza  di  cui
all'art. 3 Cost., consiste in un «...giudizio sull'uso ragionevole, o
meno,  che  il  legislatore  stesso  abbia  fatto  dei  suoi   poteri
discrezionali  in  materia  tributaria,  al  fine  di  verificare  la
coerenza interna della struttura dell'imposta con il suo  presupposto
economico, come pure la non  arbitrarieta'  dell'imposizione»  (Corte
Cost. sent. n. 111/97).